Uno dei motivi per cui trovo così divertente scrivere storie ambientate negli Anni Settanta, è che la tecnologia di allora evoca ricordi nostalgici in noi che l’abbiamo conosciuta e quasi incredula curiosità nei più giovani.
Alcuni strumenti esistevano prima di allora ed esistono ancora oggi, anche se in forma radicalmente differente (il telefono, il televisore). Altri, come le audiocassette, sono definitivamente scomparsi e sopravvivono solo negli scatoloni riposti in soffitta e nei nostri ricordi.
Brevettata dalla Philips nel 1963 con il nome di Compact Cassette, la chiamavamo anche audiocassetta, musicassetta o, più spesso, solo “cassetta”.
Non si trattava di una “grande” invenzione, perché gli elementi tecnologici su cui si basava erano già presenti sul mercato da tempo: nastri magnetici e testine in grado di leggerli e scriverli. Tuttavia, il suo successo fu enorme, e altrettanto l’impatto sociale. La cassetta era economica, maneggevole, robusta, facile da trasportare.
La qualità audio era nettamente inferiore a quella dei dischi in vinile – allora diffusi nei due formati a 45 e a 33 giri – ma permetteva di condividere la musica e di portarsela in giro. Chiunque avesse a casa un impianto stereo (oggi sembra strano, ma eravamo in tanti) poteva trasferire la musica dai dischi alle cassette. Se un amico aveva acquistato un LP che ci piaceva, gli chiedevamo: “mi fai una cassetta?”
Poi c’erano le “compilation”, cassette con brani registrati da dischi diversi, che riflettevano i gusti musicali di chi le preparava o l’uso a cui erano destinate: da ascoltare in viaggio, da ballare, da mettere in sottofondo per un pomeriggio con gli amici. Preparare una bella compilation era una sorta di arte e ci sentivamo tutti un po’ DJ (dopo More than a feeling, meglio mettere un altro brano carico o uno soft?).
E c’era sempre la speranza che la compilation giusta toccasse le corde del cuore della ragazza o del ragazzo che ti piaceva, una magia in cui non abbiamo mai smesso di credere.
A volte il nastro usciva dalla cassetta, o veniva ingoiato dal mangianastri – che si impegnava a tener fede al proprio nome – ma eravamo diventati tutti piuttosto bravi a risolvere la cosa. Usavamo una matita o una biro per girare delicatamente le bobine interne e riavvolgervi il nastro.
Ne Il cuore della montagna, e anche nel successivo Il ragazzo di pietra, il registratore a cassette di Alberto ha un ruolo chiave. Possiamo immaginare che assomigliasse al celeberrimo Philips K7, lanciato a metà degli anni ’60, venduto per oltre un decennio in milioni di esemplari. Come potete vedere nell’immagine, disponeva di connettori per poterci collegare un microfono esterno (che Federico sfrutterà) e ne aveva anche uno in dotazione.
La cassetta è stata un’invenzione estremamente longeva, restando sul mercato per circa trent’anni. I romanzi ambientati in quell’epoca le regaleranno ancora un po’ di vita.